Negli ultimi decenni si è determinata una vera e propria trasformazione sociale e culturale che ha portato con sé un cambiamento nelle modalità attraverso cui i genitori si occupano e si relazionano ai figli.
Il mondo occidentale, regolato dalla produttività lavorativa, ha messo in secondo piano la ricerca dell’intimità e degli affetti e ciò si è riflesso anche nelle cure genitoriali che spesso sono limitate alla soddisfazione dei bisogni pratici-concreti piuttosto che relazionali-emotivi.
Si è passati inoltre, da una struttura famigliare allargata, dove i figli crescevano con tante donne e tanti fratelli, ad una famiglia nucleare composta da madre, padre e pochi (in certi casi nessun) fratelli/sorelle.
E’ proprio da questi mutamenti che sono sorti radicali cambiamenti nello stile di vita e nelle modalità educative.
Ne è un esempio l’abbandono della rigida separazione tra i ruoli paterni e materni all’interno del nucleo famigliare: la madre, unica garante delle funzioni affettive, di accudimento e di cura è diventata anche colei che lavora e che si impegna socialmente. Il padre, unico detentore di una funzione normativa e di sussistenza, oggi si occupa affettivamente ed emotivamente del bambino in modo paritario alla madre; i ruoli quindi sono diventati interscambiabili.
Attualmente la paternità inizia ancor prima della nascita del figlio infatti, già durante la gravidanza, il futuro papà è chiamato a svolgere una funzione contenitiva, condividendo con la sua compagna ansie e preoccupazioni. Inoltre, il coinvolgimento dei padri nei corsi pre-parto e/o la possibilità di assistere e sostenere la compagna durante lo stesso, mira proprio a consolidare la futura coppia genitoriale e a creare nell’uomo la consapevolezza di diventare padre.
In base a quanto si conosce fino ad ora, il passaggio da uomo a padre è un processo diverso e più lento rispetto a quello che avviene nella donna che diventa madre. Tale differenza è verosimilmente mediata dal fatto che la donna porta con sé il corpo del bambino per circa nove mesi e ne percepisce direttamente la presenza e i movimenti.
Dopo la nascita, diversamente dal padre, la madre possiede momenti unici ed esclusivi con il bambino: l’allattamento è l’esempio maggiormente rappresentativo di tale differenza.
Esso è un gesto che va al di là del semplice soddisfacimento biologico del bisogno alimentare poiché implica un passaggio di elementi relazionali come il contatto fisico, l’abbraccio, il calore corporeo; elementi che creano un’intimità rassicurante, fonte di crescita psicologia e emotiva oltre che fisica.
La madre inoltre, rappresenterà per tutto il corso della vita una figura di riferimento per lo sviluppo del bambino che arriverà a piena maturazione grazie all’intervento della figura paterna.
Secondo l’ottica psicoanalitica la funzione paterna è rivolta ad un passaggio evolutivo che si realizza nel distogliere il bambino da un vissuto totale e continuo con la madre.
Bisogna pensare a ciò non soltanto come una funzione che viene esercitata da un padre in carne ed ossa, ma anche come qualcosa che deve essere presente nella mente della madre stessa. Essa infatti è orientata verso un progetto di vita evolutivo e vede nell’esperienza della separazione un passaggio importante e necessario nella vita di suo figlio.
Se si pensa al padre nei primi mesi di vita del bambino però, si vede che difficilmente riesce ad ottenere una relazione diretta e partecipe.
Il padre infatti, nelle prime fasi dello sviluppo, grazie al suo modo di essere presente nella famiglia, interviene sostenendo e alimentando la relazione duale tra madre e bambino a discapito della possibilità di interagire più attivamente con il bambino stesso.
E’ proprio in tale prospettiva che si inscrive la funzionalità del corso di acquaticità neonatale. Il corso potrebbe fornire quel momento intimo ed esclusivo tra padre e bambino che nei primi mesi è così difficile da ricreare
In questo contesto il papà non è solo colui il quale possiede la funzione normativa ma diviene una figura quasi amicale che condivide con il suo bambino un momento ludico ed esclusivo.
Il tutto si svolge in un elemento che in quella fase di vita non è temuto: l’acqua.
L’acqua rappresenta un elemento ambivalente, da un lato rassicurante perché ricorda il liquido amniotico della pancia della mamma da poco lasciata, dall’altro è un elemento temuto e pericoloso per la sua instabilità.
Nel contesto del corso però, grazie alla figura genitoriale presente in vasca insieme al bambino, l’acqua si tramuta nell’elemento che permette l’istaurarsi della relazione tra i due partecipanti.
I corsi di acquaticità risultano quindi essere esperienze importanti per entrambi.
Oltre a permettere di familiarizzare con l’elemento acqua, forniscono un ambiente unico per la creazione della loro relazione e donano al bambino un benessere sia fisico che psichico.
Diversi studi ne dimostrano i benefici fisici, come una maggior stimolazione e sviluppo dell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio, nervoso nonché una miglior percezione di sé e della propria corporeità; tutto ciò viene veicolato in forma ludica in un ambiente unico e suggestivo.
In acqua si possono proporre molteplici attività che, in diversi modi, hanno lo scopo di far raggiungere al bambino una prima forma di autonomia acquatica. Vengono utilizzati attrezzi specifici oltre che giochi e materiali tipici della fascia di età dei partecipanti.
Attraverso i diversi presidi forniti, si cerca di lasciare spazio all’iniziativa del bambino incoraggiando la sua capacità di adattamento, soddisfando il suo bisogno di scoprire e esplorare la vasca e rafforzando la sua indipendenza, intraprendenza e autostima.
Stimolando i riflessi innati, si fanno emergere degli schemi corporei che, gradualmente, permetteranno di sviluppare la capacità di spostarsi autonomamente (anche senza attrezzi) in acqua.
Il tutto deve essere adattato con flessibilità all’interno della lezione. In ogni parte di essa infatti si propongono diversi attrezzi ed esercizi che rispettano il livello raggiunto dal singolo bambino.
E’ bene che ogni istruttore abbia delle linee guida su cui impostare il corso ma l’obiettivo principale rimane lo sviluppo della relazione tra i due partecipanti. In questo modo, si cerca di far sorgere nei genitori la capacità di cogliere e comprendere cosa il bambino sta comunicando, al fine di rafforzare il loro legame.
Questo significa non sforzare il neonato, saper aspettare quando è il momento più opportuno per eseguire un determinato esercizio e rispettare le sue condizioni psicofisiche (può essere che il bambino sia stanco, non abbia digerito bene, sia disorientato etc…).
L’attrezzo viene sempre proposto in forma ludica, inizialmente per tempi brevi, che poi aumentano gradualmente in relazione al piacere e alla partecipazione del bambino stesso.
Revisionando alcuni studi recenti e, sulla base di quanto ho descritto fino ad ora, ritengo che il corso di acquaticità neonatale sia un’ esperienza formativa sia per i neonati che per i neo genitori.
A tale proposito consiglierei la partecipazione dei bambini al corso non soltanto con la figura materna ma anche e soprattutto con quella paterna. Se da un lato il bambino si diverte, sviluppa le capacità natatorie e motorie, dall’altro lato i padri potrebbero scoprire nuovi modi di interagire, di giocare e relazionarsi. Potrebbe
inoltre favorire la creazione nella loro mente di come vorrebbero essere e delle modalità attraverso cui potersi
rapportare ai loro figli.
Sara Sofisti
Bibliografia:
M. Quilici, “Storia della paternità. Dal pater familias al mammo”, Fazi Editore, Roma.
B. Guinzbourg, A. Lucca, “Acquananda. Acquaticità per bambini”, Tecniche nuove, Milano.
N. Carollo, A. Carollo, “Cresci in acqua con me da O a 3, Vol.1”.
Sitografia:
www.genitorichannel.it
www.psicologi-italia.