“Non c’è niente di più serio e più coinvolgente del gioco per un bambino. E in questa sua serietà è molto simile ad un artista intento al suo lavoro. Come l’artista, anche il bambino giocando trasforma la realtà, la reinventa, la rappresenta in modo simbolico, creando un mondo immaginario che riflette i suoi sogni a occhi aperti, le sue fantasie, i suoi desideri”.
(Silvia Vegetti Finzi, A piccoli passi, Mondadori).
Dal dizionario di lingua italiana, Gioco: “Qualsiasi attività a cui si dedicano adulti o bambini a scopo di svago, e anche per esercitare il corpo o la mente”.
In ogni epoca, l’infanzia si è misurata con la realtà attraverso il gioco, mezzo indispensabile per acquisire nuove competenze ed entrare in relazione con il mondo circostante in modo diverso a ogni fase della crescita.
Qualche genitore osservando l’attività libera e, apparentemente, poco produttiva e non finalizzata di suo figlio potrebbe essere portarto a sommergere il piccolo con i cosiddetti “giocattoli intelligenti” che dovrebbero stimolare le capacità manuali e logiche, ma non lasciano spazio alla fantasia e alla sperimentazione libera. Ai più grandicelli, invece, il genitore potrebbe pensare di offrire qualcosa in più organizzando un’agenda stracolma di tanti corsi “educativi” (pittura, musica, inglese…).
A tale proposito, l’American Academy of Pedriatrics nelle sua linee guida ai pediatri sull’importanza dell’attività ludica (2007), mette in risalto il valore del gioco libero come un alleato essenziale per la salute e il benessere dell’infanzia. E raccomanda ai genitori, pur monitorando la sicurezza dei figli, di non diventare invadenti perché nel gioco spontaneo il bambino è protagonista attivo. Anche per questo, i giocattoli semplici (e non quelli che fanno tutto da soli) sono molto più stimolanti.
L’American Academy of Pedriatrics ricorda anche che il gioco è così importante per lo sviluppo ottimale dei più piccoli da essere riconosciuto dalle Nazioni Unite come un diritto fondamentale di ogni bimbo.
In uno studio promosso dalla Bernard van Leer Foundation (Children’s right to play, 2010), gli autori, Wendy Russell e Stuart Lester, ricercatori presso l’Università del Gloucestershire (Inghilterra) affermano che il gioco appartiene ai bambini. Gli adulti non devono essere invasivi e imporre al tempo del gioco una rigida programmazione. E nemmeno organizzare e proporre luoghi e attività che segregano i bimbi controllando il gioco.
Giocare, infatti, permette ai bimbi di esprimere la loro creatività, l’immaginazione e di cimentarsi in nuove conquiste, alimentando l’autostima (e vincendo così ansie e paure).
Il gioco non è mai solo divertimento fine a se stesso, aiuta i bimbi a crescere sotto tanti aspetti (fisico, cognitivo, relazionale, sociale, affettivo).
Sul versante psicologico, un contributo importante alla riflessione sul significato del gioco proviene dalla corrente del cognitivismo. Sotto questa definizione, rientra il lavoro di studiosi diversi che focalizzano, però, l’attenzione sui processi di pensiero e l’ambiente.
Lo psicologo Jean Piaget (1896-1980), punto di riferimento indiscusso per gli studi sull’infanzia, indaga a fondo il rapporto tra gioco, un grande alleato per dominare il reale, e sviluppo cognitivo e affettivo del bimbo.
“I bambini si servono del gioco per trasformare la realtà esterna adattandola alla propria motivazione e al proprio mondo interiore. In questo modo, i fanciulli sviluppano e acquisiscono fiducia nel proprio senso di efficacia, poiché riescono, attraverso le attività ludiche, ad agire e ad adattare la realtà alle proprie esigenze” (Rosa Cera, Pedagogia del gioco e dell’apprendimento, Franco Angeli
Nelle prime tappe della crescita infantile – suddivisa da Piaget in 4 stadi (o fasi) cognitivi – in cui maturano nuove competenze, si manifesta anche un diverso modo di giocare che gratifica il piccolo senza costrizioni o sanzioni (Piaget, La psicologia del bambino, Einaudi).
Durante lo stadio senso-motorio, che abbraccia il periodo dalla nascita a circa 2 anni il bimbo usa i sensi per esplorare quello che lo circonda e si cimenta con il gioco d’esercizio che consiste nella ripetizione gratificante di attività che va via via acquisendo.
Con lo stadio pre-operatorio, dai 2 ai 6-7 anni, il bimbo comincia a padroneggiare il concetto di simbolo (una cosa ne rappresenta un’altra) e si tuffa nel gioco simbolico, quello che più comunemente chiamiamo il ‘gioco del far finta’. Un bicchierino di carta con un filo diventa un telefono, una pila di cubi è una torre e una scatola si trasforma in una barchetta. Ogni oggetto si presta al gioco creativo ma il bimbo si rappresenta le cose solo dal suo punto di vista (questa fase si chiama egocentrismo intellettuale). Non a caso, come può ben testimoniare ogni genitore, quando racconta una storia, chi non la conosce, difficilmente capirà qualcosa.
Nello stadio operatorio-concreto, che va da 6-7 anni a 11 anni, impara a effettuare operazioni logiche per risolvere problemi, classifica e raggruppa categorie di oggetti. In questo periodo, entra in scena il gioco con regole che porta nell’ambito delle relazioni, supera l’egocentrismo infantile e comporta l’accettazione di una norma condivisa.
L’ultima fase è quella delle operazioni formali, dagli 11 anni in poi, che segna il livello più alto dell’intelligenza e del ragionamento, la capacità di afferrare concetti astratti, svincolati dall’esperienza o da una schema di azione. Prima di questo momento, per un bambino è molto difficile capire una situazione astratta.
Da quanto finora detto si capisce bene che proiettare il gioco in un liquido che somiglia molto a quello che per nove mesi lo ha protetto, permette al bambino di vivere l’ambiente acqua con piacere, libertà ed allegria, senza costrizioni.
L’acqua è il luogo dove l’amore si amplifica e dove la vita prende forma. L’acqua è la cartina di tornasole tra la mamma e il suo piccolo, favorisce la vicinanza fisica istintiva e sensuale, nel senso che coinvolge molti sensi e di frequente le mamme riescono a liberarsi di molte ansie naturali, tipiche dei primi mesi di maternità.
Visto cosa significa per il bambino giocare, bisogna sempre ricordarsi che il corso di acquamotricità è un momento di gioco, che lega il piccolo al genitore, e non di soli esercizi. Bisogna capire gli interessi del bambino e le sue attività spontanee senza mai forzarlo nell’eseguire gli esercizi.
La parola chiave dei corsi è “GIOCO” usato per conoscere, esplorare e sperimentare.
L’acquamotricista deve tener conto del momento evolutivo del bambino, così da proporre il materiale adeguato a stimolare curosità e interesse, deve come dice la Montessori “attendere osservando” con uno sguardo consapevole e preparato i comportamenti dei genitori e trovare per ciascuno il modo più indicato di comunicare, al fine di rendere più proficua la relazione.
Le tecniche utilizzate dall’animatore, dalla fase preparatoria di ingresso in acqua all’apnea e quindi al raggiungimento di un buon lavello di sicurezza, fiducia e abilità acquatica sono tutte caratterizzate da due fattori costanti: il bambino deve incontrare lo sguardo del genitore per avere rassicurazione e sentire di poter esplorare l’ambiente in assoluta tranquillità sapendo che c’è sempre una “base sicura” dove tornare nei momenti di difficoltà; tutto l’ambiente deve essere pensato per il gioco, libero e organizzato.
In sostanza l’animatore ha il compito di osservare, rassicurare, dare fiducia, incoraggiare la diade genitore-bambino, sollecitarla con proposte adeguate in grado di fare evolvere qualunque situazione nella direzione voluta.
Nei primi mesi l’animatore svolge la funzione di supporto alla diade. Successivamente il rapporto con il piccolo cresce d’intensità e tra i due si istaura una relazione sempre più diretta. Raggiunta l’età della scuola materna sarà il bambino a scegliere l’animatore quale interlocutore privilegiato per i suoi giochi.
Alex Granata
BIBLIOGRAFIA
· A piccoli passi. Silvia Vegetti Finzi. Mondadori
· Pedagogia del gioco e dell’apprendimento. Rosa Cera. Franco Angeli
· La psicologia del bambino. Jean Piaget. Einaudi
· Acquaticità per la prima infanzia. Manuelae d’uso per operatori, educatori, genitori. A. Broglio. GrancoAngeli
· Appunti corso acquamotricità neonatale. Roma maggio 201