L’incontro con l’acqua per ogni donna si presenta nel quotidiano attraverso piccoli gesti (l’igiene personale, la pulizia della casa, la semplicità di bere), ma il rapporto che esse hanno sviluppato nel tempo con questo elemento della natura si diversifica da soggetto a soggetto: alcune di loro avranno probabilmente partecipato ad un corso di nuoto anche solo in giovane età; altre avranno portato avanti la passione per questo sport con attività acquatiche; altre invece potrebbero non essersi mai avvicinate ad una piscina con costanza, a causa di traumi infantili (frequenti secondo la mia esperienza nel settore) o per interessi diversi.

 Il risultato di ciò è la difficoltà che si presenta all’operatore nel gestire ognuna di queste situazioni.

Nella tesina vorrei presentare un esercizio che pone l’attenzione su strumenti validi che possono essere applicati anche nelle situazioni più complicate nell’approccio all’acqua e che possono aumentare le probabilità di riuscita se si vuole innanzitutto mettere a proprio agio le donne in gravidanza e se si vuole poi permettergli di muoversi in modo corretto e naturale. Tali strumenti sono la percezione del corpo in acqua (in atteggiamento statico o in movimento) e l’immaginazione.


 La percezione del corpo in acqua

Entrare in acqua è un momento delicato per quasi tutti gli esseri umani soprattutto se viene affrontato in età adulta. Si perdono tutte le percezioni motorie e respiratorie fino a quel momento acquisite; ci si ritrova immersi in un liquido: il corpo è come sospeso e non è in grado di muoversi nel modo in cui è abituato, non può camminare in acqua per intenderci; di conseguenza cambiano radicalmente le posizioni da mantenere, per spostarsi  o galleggiare con più facilità si deve star in posizione pressoché  orizzontale. 

Inoltre il capo nella fase di immersione non permette di respirare involontariamente, l’organismo è costretto all’apnea o ad una respirazione volontaria invertita (l’ispirazione avviene attraverso la bocca e l’espirazione invece attraverso il naso, la bocca o entrambi). Non meno incisivo è il cambiamento dei punti di vista spaziali che può disorientare.

Per far si che questi ostacoli vengano superati, tanto in un corso normale di nuoto quanto in un corso di donne in gravidanza, una buona metodologia è far arrivare ad avere la consapevolezza del proprio corpo e dei propri gesti, senza escludere in questo proposito la percezione della respirazione. Per raggiungere questo obbiettivo elencherò in maniera sintetica ma non superficiale i passaggi di un esercizio scelto da me e che credo possa aumentare la consapevolezza fisica del proprio corpo immerso nell’acqua. 

E’ un esercizio che si può affrontare durante la stessa lezione o in lezioni diverse, in ogni caso  in modo graduale, passando al successivo solamente nel momento in cui quello precedente sia stato raggiunto con una buona valutazione da parte dell’operatore:


•                     La donna è in acqua e ha già affrontato dei semplici movimenti dinamici (per esempio camminata o corsa leggera coordinata a semplici movimenti delle braccia) senza l’immersione totale del corpo, quindi possiamo prendere in considerazioni una fra le prime lezioni.


Le facciamo immergere il corpo fino all’altezza delle spalle, in ginocchio o piedi a terra, spalle poggiate al muro e muscoli il più possibile rilassati; senza far trapelare l’obbiettivo da voler raggiungere (ora come nei passaggi successivi) le si dice di portare le braccia distese (non tese)davanti alle spalle e con dei movimenti leggeri portarle fuori nuovamente all’altezza delle stesse, assecondando la spinta in acqua con la diversa posizione dei palmi delle mani (verso l’esterno nel momento dell’apertura, verso l’interno al momento della chiusura). Tutto ad occhi aperti così da avere l’immagine di ciò che sta facendo e aumentando la consapevolezza che è lei a spostare l’acqua e non l’acqua a prendersi gioco del suo corpo.


•                     Nel passaggio successivo le faremo chiudere gli occhi e ascoltare, durante lo stesso movimento, il rumore dell’acqua che si sposta.


•                     Subito dopo le faremo accompagnare il movimento con una respirazione guidata, evitando l’apnea: inspirazione durante l’apertura, espirazione durante il ritorno delle braccia.


•                     Se il risultato a questo punto è quello che ci aspettavamo (lo dimostra il rilassamento e la facilità d’esecuzione della donna) possiamo osare con l’immersione del capo in acqua, ovviamente in coerenza con il movimento delle braccia come fatto precedentemente: l’immersione e la conseguente espirazione dal naso o dalla bocca (a discrezione della donna) deve avvenire durante la chiusura delle braccia che tornano al punto di partenza.


•                     In ultimo (con un’attenta valutazione delle capacità della donna nello stare in acqua, quindi senza il rischio che essa ne possa trarre degli svantaggi fisici o respiratori) le diciamo di effettuare una spinta dal basso in avanti distendendo interamente il corpo sull’acqua, con la spinta da effettuarsi nel momento in cui il capo si immerge e comincia ad espirare. Nella variazione possiamo dirle di rimanere in apnea (favorendo in tal modo un migliore galleggiamento dovuto all’aria nei polmoni) dal momento della spinta fino a che non si raggiunga il proprio limite personale.

 

Muoversi ed immaginare

 Finito questo primo esercizio nella progressione sopra descritta (ovviamente accompagnato da un lavoro globale) anche le gestanti con una scarsa predisposizione all’acqua, dovrebbero aver raggiunto uno stato di maggior rilassamento e insieme di maggior consapevolezza del proprio corpo immerso nell’acqua. Si può a questo punto continuare sviluppando questa consapevolezza spostandosi su movimenti più dinamici che si riferiscono alle tecniche del nuoto ( con accenni nel caso in cui le gestanti non abbiano un passato natatorio, con una nuotata più specifica nel caso in cui si presenti un rapporto più continuativo con l’acqua) applicando però uno strumento efficace per il nostro obbiettivo: LA VISUALIZZAZIONE DI IMMAGINI.

 Le indicheremo, anche stavolta a voce, il succedersi dell’esercizio e quindi le nuove posizioni da assumere, ma aggiungeremo delle immagini che accompagneranno alcune fasi degli esercizi.

La gestante è entrata in contatto con l’acqua, tutto il suo corpo si è immerso , gli unici movimenti che ha effettuato sono stati quello delle braccia e quello del capo, mentre le gambe e il busto sono rimasti in posizione statica.


•                       Nel momento di chiusura delle braccia e di immersione del capo, le diciamo di              effettuare una spinta più o meno forte dal muro o dal pavimento per andare ad acquisire una posizione orizzontale di galleggiamento, di totale abbandono del corpo sulla superficie dell’acqua, mantenendo uno stato di apnea per favorire un migliore galleggiamento ( i polmoni pieni d’aria permettono ciò) e senza preoccuparsi della direzione che il corpo prenderà. Oltre a questo le indicheremo un’immagine da tener nella mente durante la fase di galleggiamento: pensar al proprio corpo e alla sua posizione in quel momento guardandosi da fuori, immaginare cioè la visuale che si avrebbe se si fosse fuori dall’acqua. Il ritorno al muro lo dovrà effettuare camminando, variamente ad occhi chiusi.


•                       Evolvendolo ancora, con la medesima parte iniziale compreso il galleggiamento, aggiungiamo delle battute di gambe stile libero (gambe alternate, naturalmente distese, con un movimento che parte dall’anca e si trasferisce con fluidità al resto dell’arto attraverso un leggero e naturale gioco ginocchio-caviglia, cercando una buona mobilità di quest’ultima e una efficace spinta propulsiva verso il basso). Gliele faremo muovere nel momento di massima spinta e per tutta la durata dell’apnea e della successiva espirazione che precedentemente le indicheremo di effettuare. Anche in questo caso rimandiamo la sua mente ad un’altra immagine: l’immagine del proprio collo del piede che spinge verso il basso nell’acqua, cercando di osservarne gli effetti (la piccola corrente che si formerà intorno al piede, la schiuma ecc..)


•                       L’ultima evoluzione consiste nell’aggiungere una o più serie di bracciate stile libero (anche in questo caso daremo correte indicazioni circa il movimento senza esagerare nella ricerca del movimento corretto, in quanto risulterebbe proibitivo e demoralizzante per le gestanti  percepire una non perfetta riuscita) esplicando le quattro fasi della bracciata, presa d’acqua- trazione- spinta- recupero, la ricerca della continuità del movimento e facendo vedere più di una volta il gesto fuori dall’acqua.


Una volta acquisito più o meno bene il movimento, che le faremo svolgere sempre con il capo immerso nell’acqua con/senza apnea, le diciamo di immaginare una corda che parta dalla testa, si prolunghi avanti perpendicolare al capo e da guardare durante l’esercizio; a questo punto dovrà cercare di far arrivare le proprie mani accanto alla corda e affiancarla per il maggior tempo possibile allungando il braccio in avanti, aumentando cosi la fase di scivolamento e di avanzamento.

Ogni fase dell’esercizio può essere effettuata più volte, fino a che non si veda ottenuto il risultato accennato nell’introduzione e fino a che la risposta della donna non sia totalmente positiva. E’ bene tenere presente che le modifiche all’esercizio sono necessarie nel momento in cui la risposta non sia quella che ci si aspetta e soprattutto che è bene abbandonare l’esercizio e riproporlo in altra occasione se si presenti una situazione di vero disagio.

Da parte mia ho già messo in pratica ciò che ho descritto con dei buoni risultati (secondo il mio modesto parere) ovviamente essendo stata la prima esperienza con delle gestanti ho riscontrato un piccolo disagio da parte mia il quale però è stato stimolante per migliorare, ma ho notato anche una positiva differenza di comunicazione, di ascolto e di voglia di mettersi alla prova rispetto a coloro a cui ho avuto modo di insegnare nuoto.

Vorrei passasse da questa mia tesina un messaggio non presuntuoso, ma al contrario la voglia di condividere la mia prima esperienza nel campo, affinché sia di aiuto o di semplice stimolo.

                                                                                                                                   Claudia di Bartolomeo